pensavo di abbandonare la discussione perchè mi sembrava che prevalesse in modo schiacciante lo scetticismo, ma il conforto di Bruno, Nicola e Mariangela, l’avvio delle sperimentazioni di Giovanni e Tom di cui attendo i risultati, nonostante la minaccia delle fucilate del vendicatore siculo, mi danno il coraggio di scrivere queste molte parole sulle mie esperienze.
ho cominciato a interessarmi alle notizie sul clima non per uno sfizio o per la ricerca ossessiva di far vivere le piante in condizioni identiche a quelle di habitat, quelle sono uniche e irripetibili almeno dove abito io, nella fascia collinare tra pianura padana e prealpi varesine. magari qualitativamente quelle della fascia tirrenica, parte di quella adriatica, sud e isole, possono essere più simili, per via della presenza del sole, del mare e della circolazione d’aria, anche se caratterizzate da temperature estive e quantità di pioggia molto elevate rispetto alla fascia costiera del deserto di Atacama, e moltissime cactacee possono essere coltivate all’aperto o con leggere protezioni, anche in piena terra.
dalle mie parti per coltivare cactacee non resistenti al gelo, è necessario avere una serra, o una veranda sul balcone, comunque un ambiente protetto. io ho una serra, da me costruita 25 anni fa, parzialmente interrata, esposta a sud ben protetta dai venti da nord, in ferro e vetro con molte aperture anche sulla copertura, la cui dotazione è costituita da un termometro di massima e minima, due ventole da frigorifero funzionanti quando la serra è chiusa, una stufetta a gas regolata al minimo con termostato interno che accendo da dicembre a febbraio, pannelli di policarbonato laterali con telo trasparente in copertura per l’isolamento invernale ed evitare la condensa, una rete ombreggiante al 20% messa sulla copertura da aprile a settembre.
non si può parlare certo di condizioni naturali, ma con una serra e semplici accorgimenti (che hanno anche i loro costi...) posso godere della bellezza di piante che altrimenti secondo le mie condizioni naturali sarebbero destinate a vivere pochi mesi. un piccolo laboratorio? forse si, come può essere un acquario o un terrario, ma solamente con luce naturale, nel senso che riesco ad ottenere un microclima locale favorevole diverso da quello esterno.
ho provato a coltivare di tutto, e tuttora coltivo una varietà di piante, ma in particolare essendo stato punto da queste piantacce cilene, mi sono abbondantemente abbeverato della sapienza di coltivatori anziani che purtroppo non sono più con noi a godere delle nuove fantastiche scoperte, grandi sperimentatori nella coltivazione di quelle piante da freddo che piacciono tanto a Nicola e Bruno, e sviluppatori di tecniche di innesto che si rendevano necessarie, sia per poter moltiplicare e far crescere velocemente le piante, sia per riuscire a farle vivere, data la elevata mortalità di molte specie coltivate sulle proprie radici, per motivi misteriosi (troppa acqua, terreno acido o alcalino, mancanza di nutrimento o troppo azoto, forse è meglio terreno minerale, lapillo o sabbia, uso vasi di plastica o di coccio?...).
una illuminazione mi era già venuta parecchi anni fa quando mi sono ritrovato in pieno inverno alcuni vasi con piante di Copiapoa completamente inzuppati dalle gocce di condensa che fuoriuscivano dal tubo di esalazione della stufa a gas. pensavo che sarebbero marcite come delle zucche, invece si gonfiarono come non mai e si misero a crescere come non avevo mai visto, e dal foro di scolo dei vasi in coccio fuoriuscivano radici bianche in crescita con molti peli assorbenti. le piante erano in perfetta fase di crescita, in pieno inverno coi prati ghiacciati, anche se la eccessiva quantità di acqua unita alla scarsità di luce invernale anche per colpa del cellophane che usavo per incappottare la serra, le ha deformate eccessivamente. che strano, se questo fosse accaduto a un Ariocarpus o un Turbinicarpus, un Astrophytum o una Opuntia, avrebbero potuto marcire o ad andar bene non si sarebbero mosse dal loro stato di riposo.
ho sempre seminato le mie piante perché mi dà molta soddisfazione ed è l’unico modo per riuscire ad avere piante particolari raramente disponibili con dati affidabili, ad un prezzo accessibile, ci vuole una certa dose di pazienza ma è abbondantemente ripagata dai risultati. alcune specie di Copiapoa, come C. solaris o C. serpentisulcata mi hanno sempre dato grandi delusioni e dispiaceri perché già con fatica si trovano semi, poi hanno una bassa germinabilità, una mortalità nelle plantule e nel trapianto, infine arrivata la bella stagione in cui mi attendevo di vederle in crescita, davo una bella innaffiata, e le piante sembravano reagire bene, ma regolarmente dopo alcuni giorni compariva una goccia all’apice della pianta, di colore del tè, che non asciugava col calore del sole ma persisteva all’apice per diversi giorni, e la pianta cambiava colore, diventava marroncina e molle, con le areole che al tatto si staccavano facilmente restando intere e svelando che la pianta era completamente bollita in pochi giorni, e questo succedeva in percentuali importanti, fino a più del 50% ad ogni bagnatura. in seguito ho notato che questo succedeva anche per C. columna alba, C. laui, e molte altre, quasi tutte. per questo non sono mai riuscito ad avere C. solaris e C. serpentisulcata più grandi di 2-3 cm, e per queste specie ho dovuto ricorrere all’innesto. alle piante innestate questo non succede, da qui la mia ipotesi che questo marciume abbia origine nelle radici.
ho ripescato questo vecchio post di Paso:
viewtopic.php?f=7&t=21159 , in cui è rappresentato esattamente quello che accade, e diego10 interpretava la malattia come batteriosi. non ho conoscenze in campo di malattie, ma mi ero messo a cercare un fungicida da dare a scopo preventivo perché la malattia è talmente veloce che quando ci si rende conto dell’infezione è ormai troppo tardi, così ho acquistato alcuni barattoli di queste robacce che tuttavia non ho mai avuto il coraggio di utilizzare.
sommando esperienze negative ed osservando i segnali positivi, ho pensato di approfondire la conoscenza del clima in habitat, ma la difficoltà era dove reperire dati sufficientemente precisi per le località dove crescevano le piante, spesso lontane e con clima diverso rispetto alle località capoluogo di cui si trovano i dati nei siti meteo. ringrazio ancora Gymno per avermi consigliato di scaricare il software gratuito Diva-Gis, un po’ complicato inizialmente ma ci si fa l’abitudine, con cui si possono ricavare dati in prossimità delle località desiderate.
la rivelazione è arrivata subito come una luce, e un esempio è la tabella di Paposo, così ho cominciato la sperimentazione acquistando un piccolo innaffiatoio da 1 litro, con il quale davo poche gocce d’acqua alle piante che vedevo raggrinzite durante il periodo invernale, umido nella tabella, notando che bastava una piccolissima quantità d’acqua per avere risultati superiori a quelli di una abbondante bagnatura estiva, in termini di rigonfiamento della pianta. infatti mi capitava spesso di notare che durante l’estate le piante non rispondevano affatto alle innaffiature, quando non morivano. dopo una decina d’anni di sperimentazione ora ho raggiunto uno standard costituito da una innaffiatura corposa ad inizio ottobre, una passata leggera a metà novembre (con doccino effetto camanchaca), eventualmente anche a dicembre, qualche goccia a febbraio, e una o due corpose tra marzo e aprile, sempreché ad aprile non arrivino le alte temperature che possono già uccidere. tra le innaffiature ci deve sempre essere un mesetto asciutto anche per valutare bene la risposta della pianta. ad aprile metto l’ombreggiante sulla copertura, per limitare le temperature, oltre ai raggi micidiali del sole primaverile che provoca facilmente scottature. a questo punto le piante devono essere abbastanza gonfie per poter crescere, fiorire e superare l’estate, fino a quando le temperature non si saranno abbassate di nuovo, ai primi di ottobre. non si dovrà allora avere nessuna pietà e non dare acqua per nessuna ragione se non si vogliono avere dei dispiaceri. durante tutto l’anno le mie piante non prendono una goccia di pioggia, troppo rischioso dalle mie parti.
questo standard ovviamente vale per il mio clima, io comunque come già detto tengo come riferimento per le bagnature le temperature inferiori ai 15°C di minima e 25-27°C di massima, innaffiando solo se sono verificate entrambe, sempreché non siano previsti innalzamenti nei giorni seguenti (attenzione perché si sa che le previsioni spesso sono sbagliate). un discorso a parte vale per le piccole piante da seme, da tenere in posizione più ombreggiata ed al fresco.
i risultati di questo cambio di “regime” sono perdite quasi nulle, anche tra le amate C. solaris e C. serpentisulcata non più innestate, piante più belle e di aspetto naturale, allargate e non allungate, con una cera più spessa imbiancata, ed anche più fiorifere. cosa posso desiderare di più?
si può provare con poche piante anche di scarso valore, e spero che chi voglia fare queste sperimentazioni ne abbia soddisfazioni come ne ho avute io e che li riporti nella discussione anche perché sarebbe interessante vedere come variano i risultati nelle varie zone di Italia-Atacama.
Lele, non credo che sia il caso di esagerare con la camanchaca, poche sono le Copiapoa che vivono nella fascia di nebbia che in genere comincia tra i 400-600 m di quota, dove sono più presenti le Eulychnia e i Trichocereus, e spesso arriva anche d'estate. in generale sulla costa non scende l’umidità ed il cielo è nuvoloso, sotto la nebbia.
purtroppo sono in grado di tediarvi solo con il clima e le piante cilene, ma ovviamente l’approccio può essere esteso a tutte le piante che troviamo di difficile coltivazione e vogliamo provare a coltivare.
1565 parole.
Marco