da marcogiani » 24/11/2012, 1:25
cara Mariangela, non credo che si stia esagerando... purtroppo.
è vero che le stagioni non sono sempre uguali, ma è anche vero che alcune popolazioni di alcune cactacee nel nord del Cile sono già scomparse. Raquel Pinto nel suo bellissimo "Cactacee del extremo Norte de Chile" testimonia la scomparsa di Islaya krainziana dalle dune sabbiose di Poconchile, all'interno di Arica, dove Ritter l’aveva trovata viva, dichiarandola estinta nel territorio cileno, ed anche che il bosco di Eulychnia iquiquensis citato da Ritter sui monti sovrastanti la città di Iquique negli anni ’50-‘60 è ridotto a pochi resti di esemplari morti, e sono passati solo 50 anni.
personalmente ho potuto constatare già nel 1997 e 2007 che tra le migliaia o milioni di esemplari di E. iquiquensis visibili sui monti costieri tra Tocopilla ed Antofagasta non si vede segno di vita, e solo la lenta decomposizione dà l’illusione che le montagne siano ancora ricoperte di piante.
a Tocopilla delle pochissime piante di Copiapoa tocopillana ed Eriosyce recondita che sono riuscito a trovare, più della metà erano morte. non l’ho vista, ma la popolazione di Copiapoa solaris a nord di Antofagasta documentata da Rudolf Schulz in mezzo all’immondizia ed a movimenti di terra, è ridotta allo stato fossile.
i problemi seri secondo me sono limitati alle zone costiere a nord di Antofagasta, mentre verso sud sono preoccupanti solo in alcune zone, e non a causa dei “rapinatori”. non è il caso della C. griseoviolacea, che pare sia in buona salute, ma forse lo è per la C. superba, di essere al limite della forza vitale anche per fiorire e produrre semi.
le stagioni non sono sempre uguali, in Cile quelle umide hanno una cadenza grossolanamente di una decina d’anni, ma accade anche che le precipitazioni avvengano a macchia di leopardo e che in certe zone il periodo di siccità viene prolungato anche a 20 anni (e magari si aggiungono le larve o i guanachi che le mangiano in mancanza di altro), a parte alcune zone in cui l’orografia consente un regolare accumulo di umidità. perché le piante siano in salute non è sufficiente la nebbia che può solo mitigare l’aridità, ci vuole un po’ di pioggia.
credo che questi ambienti siano molto a rischio perché per il loro essere estremi, sono in equilibrio molto precario, ed esiste un limite di non ritorno, e dove viene raggiunto le piante non riescono più a crescere e riprodursi, e purtroppo non hanno le gambe per fuggire ed andare a Roma a farsi coccolare da Carlo…
colpa dell’uomo o no, questo succede.
sono andato fuori tema, nelle nostre serre non abbiamo di questi problemi, forse si ho fatto morire qualche pianta di sete, dimenticata da qualche parte o arrostita al sole, o non bagnata al momento giusto.
da alcuni anni ormai non do più annaffiature generalizzate, ma cerco di personalizzarle per i vari generi o anche per le singole specie, secondo esperienze e informazioni sui dati climatici delle zone di provenienza.
so che è un argomento su cui si è già discusso molto, e che le condizioni in cui coltiviamo sono molto diverse da quelle dei luoghi di origine, ma penso che Bruno fa bene a seguire i prudenti consigli del vecchio saggio, che però per me valgono solo in caso di dubbio.
conoscendo le condizioni in cui originariamente vivono, e sono molto diverse da Nord a Sud America, dal mare alle quote elevate, si possono ottimizzare le innaffiature in modo che le piante ricevano acqua solo nei periodi in cui ne hanno effettivamente bisogno, desumibili dai dati climatici che in vari modi possono essere reperiti. a meno che si tratti di piante rustiche, sono da evitare le bagnature nelle loro stagioni asciutte, perché la pianta o non utilizza quell’acqua, oppure ne può soffrire o morire. l’acqua va data sempre con moderazione secondo quale sia la stagione umida, che non è sempre solo quella estiva.
parlando delle piante cilene, che conosco meglio, queste hanno una attività invernale, infatti in habitat le precipitazioni avvengono durante l’inverno, e se non piove anche da anni comunque l’inverno è la stagione più umida. allora, nel mio piccolo deserto di Valpadana, alle piante adulte io do acqua con molta parsimonia, quasi col contagocce, 2-3-4 volte durante autunno e inverno, in giorni non troppo caldi e quanto basta per fare asciugare in pochi giorni. normalmente evito i periodi più freddi, e le piante, soprattutto delle zone costiere, ne godono parecchio, gonfiandosi e non fermando la vegetazione, ma non bisogna esagerare soprattutto quando la luminosità è scarsa per evitare filature.
in primavera, con l’innalzarsi della temperatura, la pianta è pronta a superare l’estate asciutta e impietosa, fino alla prossima acqua autunnale. da quando adotto questo regime sto ricevendo grandi soddisfazioni da Eriosyce, Eulychnia e Copiapoa, sia per l’aspetto che per la salute delle piante e soprattutto non ho più i decessi estivi che seguivano le innaffiature.
altri cactus provenienti da altre zone hanno un comportamento opposto, come ad esempio notoriamente molte messicane.
tutto questo per dire a Giovanni che forse qualche goccia d’acqua all’Eriosyce (paucicostata?) io la darei, per lasciarla raggrinzire in estate, e anche un pochino al Gymno che non deve mai disidratarsi troppo (non conosco di preciso i dati per la specie ma in Argentina le precipitazioni sono sia estive che invernali), e lascerei che l’Echinocereus si disidrati per bene fino alla primavera.
scusatemi per le tante parole…
Marco